Il ragazzo guardò con soddisfazione il piccolo albero che girava generando un rumore fastidioso e continuo. Dopo qualche secondo staccò i morsetti dalla batteria e nel carrozzone torno un silenzio afoso.
- Se vuoi puoi portartelo a casa - disse, guardando fisso negli occhi il bambino che non si aspettava l'offerta. Lui rimase a guardarlo sostenendo il suo sguardo per un lungo tempo finchè si ritrovò a parlare per la prima volta da quando era entrato nel carrozzone.
- Non so che cosa fare con il motore - disse con la voce flebile e quasi sussurrando, tanto che fu sorpreso dal fatto che il ragazzo avesse capito. 
- Puoi legarci un filo e farlo arrotolare per tirare su qualcosa dal balcone di casa tua - propose il ragazzo, ma nel frattempo aveva già spostato la batteria e si accingeva a fare lo stesso con il marchingegno che aveva riportato in vita. Il bambino alzò le spalle, come per certificare definitivamente il suo disinteresse ma dentro si era risvegliata improvvisamente la speranza e l'espressione del suo viso doveva essere così eloquente che il ragazzo si guardò intorno per un rapido inventario delle migliaia di oggetti che li circondavano.
- C'è qualcosa che ti interessa ? - disse riportando lo sguardo sul bambino. Era troppo bello per essere vero.
Il bambino sgranò gli occhi e dimenticò tutti i timori e la paura. L'offerta era stata chiara, non c'erano fraintesi ed era certo a questo punto che il ragazzo era lì clandestinamente, esattamente come lui. Con gli occhi ancora spalancati indicò i tre fucili ad aria compressa che stavano infilati in feritoie appositamente scavate nel bancone. Quando il luna park era in funzione, il bancone era il limite esterno del piccolo locale che fungeva da tiro al bersaglio. Una parte era adibita al lancio di palle riempite di sabbia per far cadere il maggior numero di barattoli cromati e rumorosi, l'altra parte invece aveva i tre fucili caricati con piccolissimi grani di piombo che servivano a far scoppiare dei palloncini che giravano legati su ghiere. I fucili erano pesanti e massicci e terminavano con un lungo tubo nero di gomma che portava l'aria compressa utilizzata per sparare. Quando il bambino aveva esplorato il carrozzone, qualche giorno prima, era stato proprio quel tubo ad impedire il furto. Non era riuscito a staccarlo e neppure i suoi amici. Il ragazzo si avvicinò ai tre fucili e ne estrasse uno saggiando il peso e seguendo con lo sguardo il tubo nero. 
- Certo mi devi dare qualcosa in cambio -
Aveva parlato all'improvviso e aveva bruscamente interrotto il flusso di speranza che aveva riscaldato finalmente le mani del bambino. Deglutì con forza e mise le mani nelle piccole tasche dei pantaloncini come per controllare che il naturale vuoto non si fosse magicamente riempito di qualcosa che potesse valere come merce di scambio per il ragazzo.
Qualche tempo prima, un ragazzone della scuola media gli aveva rotto gli occhiali per dispetto. Doveva aver provato rimorso per quel gesto perchè qualche giorno dopo lo aveva fermato nel bagno della scuola e gli aveva dato una piccola lente di ingrandimento che usciva da una custodia rossa, come fosse un coltello a serramanico. Gli aveva detto che quell'oggetto era prezioso e che quindi erano pari e il bambino non avrebbe più potuto avanzare richieste. Il tutto ovviamente era stato vissuto da lontano, come se non fosse lui il protagonista; non aveva capito bene perchè il ragazzone si fosse sentito in dovere di risarcirlo ma del resto non gli era chiaro neanche perchè lui lo avesse preso a botte qualche giorno prima. Sapeva solo che suo padre si era arrabbiato molto per quella lente frantumata ma anche questo era normale. A volte prendeva le botte anche da lui ma nemmeno questo lo disturbava troppo. Era la logica conseguenza delle cose. Sua madre invece lo aveva rimproverato dicendogli che avrebbe fatto qualche sacrificio in più per trovare i soldi che servivano a riparare gli occhiali. Ascoltava in silenzio i rimproveri e gli dispiaceva ma non sentiva dentro di sè sensi di colpa. Era come se non fosse lui quello sul banco degli imputati. E poi le scarpe, i pantaloncini, gli occhiali... le cose si rompevano ma la maggior parte delle volte non era colpa sua. Era il caso, la sfortuna.
- Io non ho nulla - disse al ragazzo mentre tirava fuori le mani dalle tasche a riprova di quanto stava sostenendo. Non aveva neanche la lente di ingrandimento ricevuta in cambio delle botte; non sapeva dove fosse finita e gli dispiaceva perchè forse poteva essere una buona offerta per avere uno dei fucili. 
- Non importa, non voglio nulla - disse il ragazzo - Voglio insegnarti una cosa -
Prese un panno ampio che copriva una delle casse e lo stese sull'unica parte sgombra del carrozzone, quella che stava subito dopo le scale di ingresso. Chiuse la porta che era rimasta aperta per tutto il tempo da quando il bambino era entrato e si voltò verso di lui.
- Vieni qui - Disse il ragazzo ed era al quel punto davanti alla porta e quindi non c'era nessuna possibilità di fuga. Il bambino non avvertiva pericoli. Aveva in mente solo il suo fucile e voleva al più presto concludere l'impresa per andare finalmente a giocare. Si fidava del ragazzo, stavano condividendo un'avventura e non poteva temere nulla. Così si avvicinò senza timore e vide il ragazzo che si sedeva sul telo steso in terra.
- Siediti qui - Lo invitò.
Il bambino ubbidì e il ragazzo si avvicinò allungando le mani verso il viso. Gli accarezzò le guance con un gesto deciso ma non violento.
- Ti insegnerò come si fa l'amore - disse e la sua voce si era abbassata come se ci fosse qualcuno intorno che non doveva sentire. Il bambino si irrigidì, quei gesti li aveva visti solo quando si rifugiava tra le braccia di sua madre ed erano fuori luogo lì, sul pavimento di quel carrozzone. Ma ancora non aveva chiaro quello che stava succedendo. Il ragazzo lo spinse piano per farlo sdraiare e il bambino si allungò sul telo polveroso. Guardava il ragazzo che aveva cominciato ad accarezzargli il busto e poi prese i suoi pantaloncini con le due mani sfilandoli. Il bambino a quel punto si rese conto del pericolo. Non sapeva cosa gli stesse facendo quel ragazzo, non aveva la minima idea di come sarebbe andato avanti quella specie di rituale. L'istinto gli diceva che era in un grave pericolo, che quel ragazzo poteva fargli molto male. La situazione necessitava un'attenzione particolare e una strategia di uscita che non poteva essere divincolarsi e cercare di fuggire. Sapeva che se avesse fatto così il ragazzo si sarebbe spaventato e avrebbe potuto ucciderlo. Non aveva idea di come quei pensieri si erano potuti formare nella sua testa. Aveva solo otto anni. 
- Che bel cazzolino che hai - Il ragazzo armeggiava con i suoi genitali e poi avvicinò la faccia e infilò la lingua nella sua bocca. Il terrore si faceva strada nei pensieri del bambino e il ragazzo ora si muoveva dietro di lui e gli diceva che quello era l'amore, che doveva insegnarlo ai suoi amici.
- Ora basta devo andare a casa - la supplica gli usci strozzata dalla gola. Si mosse verso i suoi pantaloncini e quasi non credeva ai suoi occhi quando vide che il ragazzo non si opponeva. Si rivestì mentre il ragazzo lo guardava. I gesti del bambino erano lenti e misurati. Non voleva provocare la rabbia del ragazzo. Sentiva chiarissimo il pericolo incombente e sapeva perfettamente che avrebbero potuto trovare il suo corpo dopo qualche giorno, sepolto sotto le cianfrusaglie del carrozzone. Il ragazzo invece si alzò e come se nulla fosse prese il fucile che era stato appoggiato sul bancone. Era ancora bloccato dal tubo di plastica e senza dire una parola prese dalla sua tasca un accendino. Con la fiamma bruciò la plastica e sorridendo consegnò il fucile al bambino che aveva assistito a quella scena con gi occhi sbarrati, bloccato dal terrore, senza sapere cosa fare.
- Sei un bravo bambino, so che non dirai nulla e allora ti lascio andare senza ammazzarti - parlava senza sorridere ora e il bambino con in mano il suo fucile ebbe un tuffo al cuore. Aveva visto il pericolo, lo aveva assaporato. Non era stata la sua fantasia.
- Ti lascio andare perchè tu possa insegnare ai tuoi amici quello che abbiamo fatto -
Si allungò verso l'ingresso e aprì la porta tornando indietro verso il bancone in maniera da lasciare libero lo spazio. Lentamente il bambino si girò, con in mano il suo fucile scese i gradini e si mise a camminare sotto il sole. Il caldo non riusciva a passare oltre la sua pelle. Dentro sentiva un gelo che lo faceva rabbrividire e le lacrime stavano bussando alla porta dei suoi occhi. Non voleva piangere, non voleva girarsi, poteva esserci ancora quel ragazzo dietro di lui. Doveva camminare, avanti, per lasciarsi dietro tutta la paura.